giovedì 28 agosto 2014
Per il segretario Cei Galantino la cultura postumana è un'opportunità per la Chiesa. E dal Convegno ecclesiale di Firenze 2015 si attende «una conversione culturale ed esistenziale» che dia vita a «un vero rinascimento».
Galantino: a Messa tutti si sentano a casa
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«La sfida del postumanesimo contemporaneo mette in guardia la Chiesa dal pericolo di una riduzione umanistica della fede, che al contrario indica un uomo trascendente e chiamato a superarsi nella propria storia e oltre essa. In questo senso la Chiesa dovrà anche attrezzarsi per mostrare se stessa come esperta di postumanesimo e così parlare all'uomo di oggi illuminandone il destino alla luce dell'Evangelo». È il passaggio che conclude, sintetizzandone il senso, la relazione di monsignor Nunzio Galantino all’annuale Seminario Rosminiano di Stresa, dov’è stato invitato a parlare proprio di postumanesimo e personalismo rosminiano, in vista del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del prossimo anno (9-13 novembre) che per tema avrà proprio «In Gesù Cristo un nuovo umanesimo». Un appuntamento che secondo il segretario generale della Cei «non potrà assumere la forma di una mera esperienza intellettuale, bensì produrre una conversione culturale ed esistenziale per dar vita a un vero e proprio rinascimento, tanto più necessario quanto meno in sintonia con le mode imperanti». Certo, la capacità di «pensare il nesso profondo fra la condizione umana e la natura dell'uomo» che è imposto dalla convinzione che «l’antropologia non può essere tenuta separata dall’ontologia» – anche perché «la questione dell’io e quella del Dio di Gesù Cristo sono in ultima analisi la stessa domanda» –, «non potrà avvenire se continueremo a denigrare il nostro tempo, le sue istanze e le sue stesse provocazioni, fra cui quella del postumanesimo o del transumanesimo». A mostrare alla Chiesa di oggi l’efficacia di questa apertura consapevole verso la cultura contemporanea, secondo Galantino, è proprio Rosmini, che seppe «cogliere nell’antropocentrismo del pensiero moderno una preziosa opportunità per la fede e la teologia». Per il segretario dell’episcopato italiano, «nonostante il nostro tempo sembri pervaso da una conoscenza caratterizzata prevalentemente dall'assemblaggio dei dati e delle informazioni – o forse proprio per questo – si rende urgente quella che Rosmini chiama "meditazione dell'uomo", in uno spazio di libertà e di distanza, che la Chiesa può contribuire a custodire ed abitare». È proprio «questa capacità di "pensiero meditante"» che «incrocia lo stesso sapere scientifico e la tecnica senza demonizzarne i contenuti e gli esiti, senza sentirsi minacciato ed emarginato, ritenendo al contrario che le risorse non possono diventare minacce se non a partire da tendenze ideologiche e di dominio, spinte dalla tentazione del potere», un trend cui purtroppo assistiamo in ambiti come la biomedicina. Il cristiano – e la Chiesa con lui – al cospetto della cultura postumana caratteristica della nostra epoca non deve vivere complessi di inferiorità: infatti sa che «la rivelazione feconda la ragione nel tentativo non solo di pervenire alle verità fondamentali relative al senso dell'esistenza, bensì anche nello sforzo di costruire la città terrena, ponendo le fondamenta della civile convivenza dei popoli fra loro e di un popolo al suo interno». In questo senso il «riferimento cristocentrico» della Chiesa è «fondamentale» proprio perché propone «una visione dell'uomo in cammino» e chiama «l'esistenza a un continuo superamento» per poter raggiungere il proprio fine, che è la partecipazione alla vita divina». Di fronte «all'istanza-minaccia del postumano», aggiunge il vescovo di Cassano all’Jonio, non si pone «un'astratta natura umana, concepita in senso statico e impermeabile alla condizione umana, ma la persona». Un cristianesimo che, forte di questo fondamento culturale, vive nel mondo senza chiusure né ingenuità garantisce che «il personalismo» non diventi «mai un’ideologia, bensì solo e soltanto una prospettiva», consapevole che «la postmodernità» non è «fenomeno congiunturale» ma «epocale» e dunque esige «un discernimento per il quale abbiamo bisogno di un "nuovo pensiero", ossia di categorie e prospettive diverse da quelle del passato»: «Attraverso una filosofia dinamica dell'essere – conclude Galantino – il lavoro degli intellettuali del nostro tempo potrà contribuire alla vigilanza sulla persona e alla sua custodia, nonché al suo sviluppo in un oltre che la trascende e ne rivela tutte le potenzialità, senza nulla distruggere o disperdere di quanto ci è stato donato».

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