martedì 23 dicembre 2014
Il cardinale Bagnasco: quanto accadde allora succede oggi nei cuori che si aprono, anche nell'Italia che non cede a crisi, disonestà, avvilimento. Il Natale ci ricorda che si vince con un bene forte e giusto.

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Il cuore del Natale è la nascita del Figlio di Dio. Non altro. Anche i regali, che di solito ci si scambia, sono il segno del vero regalo, Gesù. Lui è la festa dei cristiani e il dono che Dio fa al mondo. Le altre cose belle sono conseguenza: ritrovarsi in famiglia e tra amici, il riposo dal lavoro, le luci e le tradizioni che il nostro splendido Paese ha messo insieme nei millenni, non sono il cuore ma il frutto di quanto è accaduto a Betlemme in quella notte d’inverno. Per gli uomini di altre culture, credenze e religioni, tutto ciò può essere tradizione e folclore, ma la domanda sorge ovunque: perché tanta festa, tanti regali, tante luci? E perché quell’aria diffusa e avvolgente di tenerezza e di bontà? Dio non è solo risposta, ma è anche domanda. Quanto è accaduto allora, continua ad accadere oggi nei cuori che si aprono. Allora Lui viene, nasce in ognuno che lo invoca, lo cerca senza conoscerlo, forse lo bestemmia o lo combatte. Lui è sempre pronto, perché Dio è Amore. Quale altra ragione Lo avrebbe spinto se non la follia per gli uomini, per entrare nelle nostre oscurità, per accendere la speranza, per incoraggiare i deboli, per sostenere i poveri e gli oppressi? La questione è che Gesù è lì, ma noi dove siamo? Forse siamo agli inizi della vita, o a metà o verso il termine... ma dove siamo nella strada del nostro mondo interiore? Per che cosa spendiamo energie e tempo? Per andare dove? Quale lo scopo? Le società e le culture possono anche ostacolare la presenza della fede, possono perseguitare e uccidere i cristiani, ma niente e nessuno potrà uccidere la nostalgia di un Oltre, di un Un di Più, che per noi ha il volto di Cristo. I tempi cambiano, ma il cuore resta assetato di felicità, mendicante di assoluto, cercatore di Dio. Ecco perché il migliore alleato del Vangelo resta l’uomo nella verità della sua anima. Basta lasciarla parlare. Sono le domande del Natale di sempre, ma direi in modo particolare del Natale di quest’anno, che protrae una crisi che tutti si sperava fosse molto più breve e meno pesante. E invece è lunga e drammatica per giovani e anziani, singoli e famiglie. La famiglia ancora si rivela la migliore scialuppa di salvataggio, dove i risparmi si dividono con oculatezza, dove si vince la solitudine e la paura del futuro, dove si ritrova il coraggio di lottare. Al problema del lavoro e dell’occupazione, si aggiunge anche il malcostume che sembra diventare costume generale. Ma così non è! Il rischio più grave è quello dell’avvilimento diffuso, della demoralizzazione globale, della depressione paralizzante. Se gli altri sono disonesti perché io devo essere onesto e sacrificarmi? È la domanda subdola che si può insinuare fino a deprimere o a contagiare. Ma così non dev’essere! L’Italia è un popolo laborioso e onesto, geniale e buono. Se ci sono esempi o sistemi di malaffare, i responsabili devono essere rapidamente accertati e puniti con rigore, ma il popolo degli onesti, cioè degli "uomini",  deve reagire alla disonestà con una onestà ancora più limpida e con una operosità ancora più convinta. Il Natale del Signore ci ricorda che al male non ci si deve arrendere, e che si vince con un bene forte, serio e giusto. I responsabili della cosa pubblica lo sanno. Ma dovrebbe anche crescere la capacità di stare insieme in modo costruttivo, di fare rete, di integrarsi non solo tra i membri di una famiglia o di un’azienda, ma tra realtà lavorative e tra istituzioni. Non si tratta di confondere ruoli o di uniformare la società, ma di camminare insieme non in modo astratto e retorico, ma concreto, come sono concreti obiettivi e programmi comuni, energie e risorse, sostegno nazionale e internazionale. Nessuno, sullo scenario del mondo, dovrebbe sentirsi solo a lottare per cercare, procurare e costruire lavoro e occupazione: il "noi tutti" traduce in modo incisivo il "bene comune". Ma quel "noi tutti" deve poter diventare visibile, pratico, fruttuoso. Le figure del presepe fanno mestieri diversi, ma vanno tutte verso la grotta: hanno lo stesso scopo pur nelle loro diversità. Il messaggio è preciso: quando si ha veramente una meta comune, e non è ciascuno – singoli o gruppi – meta a se stesso, allora l’ingegno trova le strade per camminare insieme senza sbarrare i sentieri agli altri, senza che nessuno rimanga indietro, senza che i doni che si portano al Bambino si lascino o si vendano lungo la strada perché si è affaticati. Davanti al presepe, chi ha il dono della fede sosti pregando, chi non l’ha sosti pensando. Qualcosa di bello accadrà. Auguri sinceri.

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