mercoledì 7 giugno 2017
Open Doors presenta un nuovo rapporto all'Unione Europea. Gran parte della popolazione emigrata non si sente incentivata a rientrare.
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A tre anni dal giorno in cui lo Stato Islamico ha assunto il controllo della città irachena di Mosul, un nuovo rapporto afferma che tra il 50% e 80% della popolazione cristiana dell'Iraq e della Siria è emigrata dall'inizio della guerra siriana nel 2011.
L'arrivo dell Daesh ha rappresentato di fatto solo il precipitare di una tendenza già cominciata nel momento in cui i cristiani hanno sperimentato una "perdita globale di speranza per un futuro sicuro", secondo il rapporto realizzato dalle organizzazioni cristiane Open Doors/Porte Aperte, Served e Middle East Concern. Il dossier fa notare inoltre che, per i cristiani che si sono stabiliti altrove, ci sono "pochi incentivi" a tornare nei loro Paesi di origine. Diversi intervistati affermano che "Il Medio Oriente non è più una casa per i cristiani".

In un documento allegato alla relazione, le tre organizzazioni invitano l'Unione Europea a contribuire a istituire un "meccanismo di denuncia e rendicontazione" per gestire i casi di persecuzione religiosa ed etnica e di discriminazione in Iraq e Siria. "La creazione di un tale meccanismo nazionale - viene suggerito - è una soluzione a lungo termine che mira a ripristinare la fede in un sistema che garantisca che tutti gli appartenenti alle comunità religiose ed etniche siano considerati cittadini come gli altri e dunque parimenti tutelati. Dissuadendo allo stesso tempo coloro che intraprendono azioni avverse contro queste comunità"

ANSA


Il rapporto “Understanding the recent movements of Christians leaving Syria and Iraq” ("Comprendere i recenti movimenti dei cristiani che lasciano Siria e Iraq") riconosce la difficoltà di produrre dati definitivi, piché prevede che la popolazione cristiana totale dell'Iraq si sia ridotta dagli oltre 300.000 del 2014 ai 200.000-250.000 attuali (molti dei quali sono sfollati interni).
In Siria, le Oong stimano che la popolazione cristiana di circa 2 milioni nel 2011 si sia quasi dimezzata. "I fattori che hanno determinato la partenza includono la violenza dei conflitti, compresa la distruzione quasi totale di alcune città storicamente cristiane nella piana di Ninive (nord dell'Iraq), l'emigrazione di altri e la perdita di comunità, il tasso d’inflazione, la perdita di opportunità di lavoro e la mancanza di opportunità educative", osserva il rapporto. "Mentre la violenza diretta, come quella provocata dai movimenti del Daesh, sia in Iraq che in Siria, era il punto di forza per lo spostamento. La decisione finale
di lasciare i paesi è stata rappresentata da un insieme di fattori nel tempo".



Generalmente si pensa che un maggior numero di cristiani abbia lasciato la Siria rispetto all’Iraq, questo perché la popolazione iniziale era più nei confini iracheni, ma il rapporto segnala come, in proporzione. un maggior numero di cristiani abbia lasciato invece proprio l’Iraq. Tuttavia, le Ong fanno notare che "molti di coloro che rimangono" vogliono invece "svolgere la loro parte nella ricostruzione delle società frantumate dell'Iraq e della Siria. Vogliono essere considerati cittadini iracheni o siriani, godendo dei diritti della cittadinanza, come l'uguaglianza davanti alla legge e la piena tutela del loro diritto alla libertà di religione o di credo, inclusa la possibilità di ogni libera adorazione, pratica, insegnamento e possibilità di cambiare la propria religione. Non chiedono privilegi speciali come minoranza religiosa".

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