venerdì 31 luglio 2015
​Si avvia a conclusione il bicentenario. Don Stasi traccia un bilancio delle celebrazioni: la sfida di oggi è educativa.
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«Dal 17 agosto ripartiremo con tanta speranza perché in questo bicentenario di don Bosco abbiamo riscoperto l’attualità del santo e del suo carisma, l’amore e la venerazione che la gente e i giovani nutrono nei suoi confronti. Don Bosco è veramente un santo popolare e la sua parola e il suo esempio risuonano nella Chiesa e nel mondo». Così don Enrico Stasi, ispettore salesiano di Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania, traccia il cammino della famiglia salesiana dopo «un anno di grazia», le celebrazioni dei duecento anni dalla nascita di don Bosco che si concluderanno il 16 agosto, «compleanno» del santo dei giovani. Don Stasi è stato nominato ispettore alla vigilia dell’avvio delle celebrazioni del Bicentenario. Come ha vissuto questo anno come responsabile dell’ispettoria dove è nato don Bosco e a cui tutto il mondo salesiano fa riferimento? È stato un anno intensissimo dove si sono succeduti eventi, incontri, relazioni e che ha avuto il culmine nella la visita del Papa a Torino dove alle gioie, tante, si sono alternate anche spine e sofferenze. C’è un sogno di don Bosco molto caro alla tradizione salesiana che è il “sogno del pergolato di rose” dove si narra che la strada che don Bosco intraprende con i primi giovani che desiderano seguirlo è cosparsa di rose e camminando ci si accorge che le rose nascondono le spine. Questa è la realtà di chi vuole educare i giovani e portali a Cristo. Era vero ai tempi di don Bosco ed è vero oggi. Più volte il rettor maggiore dei salesiani, don Ángel Fernández Artime, richiamando l’invito del Papa, ha sottolineato che il bicentenario è un invito a tornare al cuore del vostro carisma, cioè l’attenzione ai giovani più poveri, quelli del Sud del mondo ma anche i giovani dell’Occidente secolarizzato alla ricerca di senso. La sfida più importante è quella che da sempre ci anima: la sfida educativa, oggi più che mai centrale. Una sfida che in questo frangente incontra un mondo che non è certo simile a quello dell’Ottocento ma che ci provoca e non ci lascia tranquilli: giovani che spesso provengono da percorsi familiari difficili e sono lasciati soli e abbandonati a se stessi; giovani che non lavorano né studiano; giovani che sono di altre culture, razze e religioni e chiedono accoglienza. Ma sono giovani: per questo vanno amati e accompagnati. Lo scorso 21 giugno papa Francesco, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, ha parlato a braccio raccontando come don Bosco e la spiritualità salesiana siano state fondamentali per la sua formazione giovanile. Che cosa rimane di quell’incontro? Rimane innanzitutto la familiarità dell’evento. Abbiamo sentito papa Francesco come uno dei nostri. Negli anni che ha conosciuto i salesiani, sin dai tempi in cui frequentava la scuola, ne ha imparato lo spirito e ci ha donato una lettura originale, così come lui sa fare. Una lettura che ci riporta a un don Bosco che aveva nel cuore tre amori, i “tre amori bianchi”: l’Eucaristia, la Madonna e il Papa. A un don Bosco che punta decisamente sull’educazione integrale dei giovani: dalla loro affettività alla loro intelligenza passando anche per la manualità. A un don Bosco che diceva che «il meglio è nemico del bene » e che il bene va fatto subito e con grande concretezza. Nella recente lettera che papa Francesco ci ha dedicato sottolinea che i «salesiani possono dare ancora molto» alla Chiesa e al mondo. Un mandato importate che ci invita ad “uscire” operando scelte coraggiose, a ritornare a stare con i giovani vivendo non solo per loro, ma con loro, scommettendo sul loro protagonismo e sulla loro voglia di mettersi in gioco e di fare. E in questo modo facendo comprendere loro la la gioia del Vangelo. Ecco il nostro impegno dal 17 agosto.
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