sabato 25 maggio 2013
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Stu parrino si tirava i picciotti cu iddu, quindi faceva stu dannu, predicava tutta arnata, avutri problemi. Padre Pino Puglisi fu ucciso dalla mafia sotto casa, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. Il perché della sua morte è tutto in questa frase, una confidenza che il pentito Tullio Cannella, durante il processo in Corte d’Assise, riferì di aver ricevuto in carcere dall’allora capo di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella. Doveva dunque morire perché prete, Pino Puglisi. E perché come prete «predicava tutta la giornata», creando «altri problemi», ai capi del mandamento di Brancaccio...Circa vent’anni dopo quella sera di settembre, il parroco della chiesa di san Gaetano, cuore pulsante del palermitanissimo quartiere Brancaccio, viene proclamato beato. Martire della fede, assassinato in odio alla fede. Lo studio della vicenda del parroco Puglisi ha permesso di conoscere più e meglio la natura della mafia e l’essenza vera del ministero sacerdotale che di ogni presbitero dovrebbe essere propria, lontana dalle astrazioni, dai verbalismi e dalla superficialità.Forza dell’esempio di un uomo e del suo sacrificio, già nelle prime ore seguenti al suo assassinio la comunità ecclesiale e la società civile di Palermo ne parlavano come di un martire. E l’allora arcivescovo di Palermo, il cardinale Salvatore De Giorgi, il 15 settembre del 1999 dava inizio all’inchiesta diocesana che si è chiusa il 5 giugno 2012, allorché l’Ordinaria dei Padri cardinali e vescovi della Congregazione delle cause dei santi, ha riconosciuto che don Pino Puglisi fu ucciso in odium fidei per mano mafiosa e per la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, per l’esercizio di un ministero sacerdotale speso a propagare e diffondere la fede, per difendere la sacralità della vita, la dignità della persona umana, soprattutto dei piccoli. E il 28 giugno successivo Benedetto XVI autorizzava il Dicastero a emettere il decreto per la beatificazione propter martyrium.Che cosa è emerso? I fatti: a Brancaccio don Puglisi, propone – specie alle giovani generazioni, quelle più attratte dalle sirene dei soldi facili e del potere di "mamma mafia" – un’alternativa di vita fondata sul Vangelo. La sua coerente testimonianza fa il resto. E i giovani prestano fiducia a Cristo, mai così vicino a tanti ragazzi cresciuti a pane (poco) e rivoltella. E quando nella primavera del 1993 dalla Valle dei Templi si leva alto l’anatema di papa Giovanni Paolo II contro le cosche e i loro messaggeri di morte, Brancaccio risponde: presente. È un qualcosa di rivoluzionario: i boss si vedono messi ai margini dall’operato del centro "Padre Nostro". La loro avversione nasce dalla popolarità e dal seguito che ogni giorno cresce attorno a un prete mite, povero, semplice e che non si lascia fermare, forte della sola corazza della fede, dalle loro intimidazioni.È un qualcosa davvero di rivoluzionario e di incomprensibile per i mafiosi, pur abituati a far di conto con gli eroi (in qualche caso, i professionisti) dell’antimafia, ma non con un prete che, timidamente, ma senza mai un cedimento, così diceva di intendere la sua missione in quel territorio: «È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, ma se ci si ferma a questo livello sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti».Un eroe, padre Puglisi? Puglisi sapeva di andare incontro alla morte, ne aveva accettato la possibilità, ma ad animarlo era soprattutto la volontà di esercitare il ministero sacerdotale partendo dalla formazione civile e cristiana con la consapevolezza, ben riassunta in un antico adagio, che "se ogni piccolo uomo nel suo piccolo mondo fa una piccola cosa, il mondo cambia". Così agì fino al giorno del suo ultimo compleanno.Oggi, come e più di allora, il ricordo è vivo. Col suo sacrificio Puglisi ha svelato un inganno: la mafia non ha nulla di cristiano, sebbene nel tempo i mafiosi abbiano ostentato la loro presunta religiosità, esibendo immaginette e libri sacri e quasi governando – in nome di una tradizione in realtà viziata e distorta – processioni e riti religiosi popolari. Il grande inganno: i mafiosi divergono dal cristianesimo perché, già col rito di affiliazione, un vero e proprio battesimo, che dal battesimo cristiano è però altra cosa, scelgono di aderire a qualcosa che non è Vangelo, che è radicale negazione del Vangelo.Oggi, in una Palermo vestita a festa, quest’uomo mite vivrà per sempre, elevato all’onore degli altari: troppo piccolo il Duomo per contenere tutti i fedeli, attesi a decine di migliaia. Si andrà al foro italico per non lasciare nessuno fuori, nessuno indietro. Don Puglisi rappresenta un vero segno per la comunità cristiana, nell’Isola e altrove, in quanto mostra la strada corretta per affrontare il fenomeno mafioso: quella di una pastorale attenta ai deboli, diretta ai bambini e ai giovani per non lasciarli inermi prede della "proposta" mafiosa; una pastorale coraggiosa e pacifica che parla al cuore di quanti sono irretiti in disegni malvagi. Il suo martirio è denso di futuro e scava un solco nella coscienza di ognuno: dopo il 15 settembre del 1993, nulla è più stato come prima, nulla può più esserlo.Vent’anni fa Palermo pianse per la morte di don Pino Puglisi. Oggi, Palermo, la Sicilia e il mondo cristiano lodano il Signore perché da quel sangue è nato un popolo nuovo.
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