domenica 17 marzo 2013
​Sul nuovo Papa le prime impressioni del presidente dei vescovi italiani di ritorno dal Conclave: «Bergoglio si pone sulla stessa linea tracciata da Benedetto per la necessità di una riforma interiore di noi cristiani, per una fede più solida e purificata, più testimoniata e consapevole, condizione per qualunque altra riforma».
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Dal Concistoro al Conclave, dalla declaratio con la quale Papa Benedetto l’11 febbraio rinunciava all’esercizio del ministero pe­trino al « nuntio vobis » del 13 marzo che ha an­nunciato l’elezione di Papa Francesco. In un me­se la Chiesa ha scritto una pagina imprevedibile della sua storia. Tra i protagonisti di entrambi gli eventi, e di quanto si è dipanato nelle settimane tra l’uno e l’altro, il cardinale Angelo Bagnasco raccoglie ora i primi pensieri. E appena rientrato a Genova, in attesa di tornare a Roma per la Mes­sa d’inizio pontificato, li condivide con noi.
Eminenza, come considera l’elezione di Bergo­glio come nuovo Papa? È una grazia di Dio per la Chiesa e per il mondo in quanto il Papa per i credenti è il successore di Pietro, il Vicario di Cristo, e per il mondo intero è sentito come un grande punto di riferimento spirituale e morale. C’era una grandissima attesa ovunque, a cominciare ovviamente dalla Chiesa. E a questa attesa il Signore ha risposto tramite i cardinali elettori, in tempi rapidissimi. Il che in­dica ancora una volta che quando i nostri cuori sono docili all’azione dello Spirito si arriva pre­sto a cogliere la volontà di Dio. Cos’ha pensato davanti alle prime parole e ai primi gesti di Papa Francesco? Alla grande forza della semplicità, che nasce non da un calcolo umano ma dalla fede in Cristo e dal­l’esempio cui si riferisce il Santo Padre assumen­do il nome di Francesco. Che uomo è il nuovo Papa, visto da vicino? Non avevo una sua conoscenza personale diretta prima delle Congregazioni generali. In questi in­contri pre-Conclave, che sono stati numerosi e in­tensi nell’arco di otto giorni, abbiamo avuto l’oc­casione per scambiarci le idee, le prospettive, le sug­gestioni, gli stati d’animo e per conoscerci in pub­blico come anche nei rapporti più informali. So­no stati giorni molto preziosi per creare contatti nuovi rafforzando quelli di più lunga data. Ed è in quelle circostanze che ho potuto incontrare e conoscere anche il nuovo Pontefice. L’impressio­ne è stata di un uomo e un pastore essenziale, che va al cuore della Chiesa, per la quale nutre un grandissimo amore, con una fortissima fede nel Signore Gesù e una particolare attenzione verso quelle che si possono definire le periferie esisten­ziali, i poveri. Cosa colpisce della sua personalità? Non solo la sobrietà evidente ma anche la gran­de affabilità: è molto affettivo, al termine dell’u­dienza al Collegio cardinalizio venerdì ci ha ab­bracciati uno per uno. Tutti sono rimasti molto positivamente impressio­nati, sperimentando un vi­vo senso di gratitudine. At­traverso gesti di attenzio­ne, affetto e vicinanza e­spressi in molti modi ci ha fatto comprendere quanto egli tenga alla nostra vici­nanza, e ne abbia bisogno, come noi prima ancora abbiamo bisogno della sua. 
Tutti stanno notando det­tagli rivelatori della per­sonalità di Papa Bergo­glio. C’è un particolare che le è parso sinora più significativo?Nella prima omelia in Cappella Sistina giovedì mattina, partendo dalle letture, ha messo in evi­denza tre verbi che sono altrettanti pilastri: cammi­nare, edificare e confessa­re. Il camminare, anzitut­to: fermarsi nella vita spi­rituale ed ecclesiale signi­fica ripiegarsi su se stessi, mentre il Signore ci invita a camminare con fiducia, ad affrontare situazioni e ambienti nuovi perché la storia incalza. E Lui è con noi. L’edificare, poi, ha a che fare con il progetto di Dio nella storia: si edifica la Chiesa, «corpo mistico del Signore» – come ha detto in modo specifico – , e non dei propri proget­ti. Ci dobbiamo mettere sempre più a disposizione del progetto divino, con li­bertà interiore, disinteresse e generosità. Infine, dobbiamo confessare Gesù Cristo e non noi stes­si, le nostre opinioni o dottrine, le idee del mon­do. Al mondo va piuttosto confessato con corag­gio Gesù Cristo crocifisso, cuore del cristianesimo.La croce non può essere tolta dal discepolato, co­me anche dalla vita: non possiamo tacerla. Come riecheggia nel nostro mondo questa sot­tolineatura teologica ed esistenziale della cro­ce rilanciata dal Papa? Una cultura che vive la paura del dolore comun­que esso si presenti cerca di ostracizzarlo in tutti i modi, anche i peggiori, come l’eutanasia. La di­mensione della croce è però costitutiva della vita umana, ineliminabile. In questo mondo annun­ciare Gesù Cristo crocifisso vuol dire far scoprire che il limite, la sofferenza e la morte sono parte integrante della vita, e devono essere colmate di senso. Se ne ha paura perché riteniamo che la vi­ta sia soltanto successo, apparenza, salute: ma è una visione falsa. Confessare Cristo crocifisso vuol dire riportare l’uomo che ha fede al cuore del cri­stianesimo, e il non credente al cuore della vita. Molti 'lontani' dalla fede si dicono toccati nel profondo dal Papa sin dal suo primo apparire. Come si spiega? La domanda va spostata un passo prima: nel mon­do c’era una straordinaria aspettativa per l’elezio­ne del nuovo Papa, che si è riversata nell’eccezio­nale curiosità di questi giorni. C’è grande interes­se per la scelta della persona, ma prima ancora ver­so il suo ruolo. Il mondo intero aveva tanta a­spettativa verso il Papa, chiunque fosse apparso, perché nella cultura seco­larista che vorrebbe co­struire un mondo senza Dio ci si accorge che, pri­vati di grandi riferimenti cui guardare, l’esistenza di­venta invivibile. La libertà individuale, grande valore che il cristianesimo ben conosce, quando si fa as­soluta sganciandosi da o­gni riferimento oggettivo e vincolante condanna al­la solitudine l’uomo per­suaso di poter fare ciò che vuole e di essere del tutto autonomo. Lo rende pri­gioniero di se stesso. Un riferimento alto, univer­salmente riconosciuto co­me il Papa, in mezzo a sab­bie mobili che si vogliono presentare come il frutto desiderabile delle libertà individuali, si mostra co­me un ancoraggio condi­viso, anche per i non cre­denti. Gioca un ruolo im­portante anche la ricca simbologia dell’elezione, dal comignolo alle fuma­te, che svela un grande fa­scino per l’uomo abituato a tecnologie cui tende a sottomettersi. Se poi ve­niamo alla persona di Pa­pa Francesco, la sua pre­senza è già un messaggio, perché il modo di porsi la­scia già trasparire il suo ca­risma. La gente ha perce­pito il valore della perso­na prima ancora che parlasse. È il testimone che comunica... L’uomo che accetta una responsabilità così gran­de diventa automaticamente testimone credibile. Il suo esempio precede le parole. La scelta del nome cosa le suggerisce? La riforma, il rinnovamento. Sappiamo in che e­poca sia vissuto san Francesco, e che missione ab­bia ricevuto dal Signore. Per assecondare questa chiamata ha rinnovato se stesso, configurandosi a Gesù Cristo in modo radicale. Benedetto XVI sin dall’inizio del suo pontificato ci ha detto che dobbiamo riscoprire il primato e la centralità di Dio nella nostra vita. Il suo magistero ha ripro­posto la questione di Dio come la più urgente del nostro tempo. E Papa Francesco si pone su que­sta stessa linea della necessità di una riforma in­teriore di noi cristiani, per una fede più solida e purificata, più testimoniata e consapevole, con­dizione per qualunque altra riforma. La Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi – Ecclesia semper reformanda, dicevano i Padri – nel cuore e nella vi­ta dei credenti, a cominciare da chi ha maggiori responsabilità, per poter riflettere sempre meglio la luce di Cristo, come dice il Concilio. Il Santo Padre è anche primate d’Italia, ed è fi­glio d’italiani. Intravede nella sua personalità qualcosa che parla delle sue radici?
Non so quanto conosca il nostro Paese, ma sicu­ramente si troverà a casa. La cultura e il tempera­mento latini ci accomunano, avrà la chiave di let­tura migliore per interpretare questa terra che o­ra diventa sua in modo tutto particolare in quan­to vescovo di Roma.
Un altro Papa non italiano nel mondo globa­lizzato non costituisce di certo una stranezza, e tanto meno lo è per i cattolici. Eppure qualcu­no parla di 'sconfitta degli italiani'. Come ri­spondere a questo argomento?
Sono letture di tipo politico, prive di fondamen­to, che nascono dal non comprendere cos’è la Chiesa, ma purtroppo si fanno quando la si in­terpreta con schemi ideologici e sociologici. La Chiesa non è questo: è un sacramento, una realtà umana e divina dove l’invisibile si fa visibile. I di­scorsi sulle fazioni non hanno alcun riscontro nel­la realtà. Nelle riunioni l’attenzione dei cardinali è andata allo stato della Chiesa nel mondo, dun­que in tutt’altra direzione rispetto all’individuare 'a chi tocca'. Dal ragionare insieme è andato e­mergendo il profilo che poi avrebbe preso un no­me davanti al Giudizio Universale della Cappel­la Sistina. La Chiesa italiana come accoglie il nuovo Pa­pa? Con grandissima gioia, entusiasmo, desiderio di seguirlo. Ho sperimentato tra la gente che Roma senza il Papa si sente una città deserta. L’amore del­­l’Italia per il Papa è noto. Sì, l’amore a Papa Fran­cesco è già grande. Quali elementi di continuità vede tra Benedet­to e Francesco? Il desiderio e l’impegno per la conversione e il rin­novamento della vita cristiana, e di riflesso del corpo vivo che è la Chiesa. Papa Benedetto l’ha predicato costantemente fino a indire l’Anno del­la fede per ritrovare la centralità di Dio e la con­versione della vita. Chiamandosi Francesco, of­frendo i gesti che ha già proposto, il nuovo Papa ci dà una spinta decisa e decisiva su questa strada di rinnovamento e purificazione della vita cri­stiana e della Chiesa. Eminenza, cosa ci sta dicendo lo Spirito Santo? Che dobbiamo seguire Dio e non calcoli umani destinati a essere scombinati dai Suoi pensieri, che non sono i nostri. Occorre essere sempre più docili, disponibili, più liberi da noi stessi per se­guire le vie dello Spirito che a volte si aprono al­l’improvviso: il Papa che rinuncia al mandato; il nuovo Pontefice che viene dall’Argentina. Sono le sorprese di Dio, che con gesti potenti ci chiede u­na scelta: volete seguire me, o le vostre pochezze? La libertà dello Spirito ci porterà lontano. Guar­diamo avanti con fiducia, lasciamoci guidare. Quando il Papa ha parlato di 'camminare' forse intendeva esortarci a non restare ormeggiati al ri­paro nei nostri porticcioli ma a prendere il largo e lasciarci condurre dal vento dello Spirito, dove Lui vuole.
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