sabato 20 giugno 2015
L'arcivescovo Santoro ragiona sul presunto conflitto che oppone tutela ambientale e sviluppo, largamente affronato da papa Francesco nella sua lettera. 
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Ho letto con molto interesse la lettera enciclica Laudato si’ (LS) di papa Francesco sulla cura della casa comune. Desidero farne qui, a Taranto, un luogo di studio privilegiato. Non potevamo non nutrire grandi aspettative per questo testo nella mia città, la terra dove si palesa da anni il grande conflitto fra salute e lavoro. Dopo la lettura continuo a credere che il magistero di papa Francesco possa dare respiro all’asfittica situazione ionica. La dimensione cattolica, universale, non dissolve la complessità del problema tarantino nel paragone con le molteplici emergenze mondiali, talvolta ben più grandi e gravi della nostra se si pensa che vi sono problemi, ad esempio, che interessano continenti interi. Una lettura intelligente del documento può offrire alcune coordinate che a loro volta permettono una precisa localizzazione del caso Taranto.
 
Quei ponti di dialogo, quella conciliazione o equa soluzione tra ambiente, salute e lavoro, tacciata da tanti come utopica, quella bonifica delle coscienze, tanto invocata in questi anni, così come l’evocazione costante del bene comune, non come slogan, ma come polo obiettivo indispensabile di conciliazione, e molti altri punti di riflessione, che hanno trovato esperienza viva e nevralgica
nel nostro dibattito pubblico e nella ricerca delle soluzioni possibili, li troviamo in un’esposizione sistematica in questo documento. Anche la dimensione culturale, come via di riscatto e di rinascita e il ruolo dei mass media, trovano cittadinanza nella visione d’insieme della LS.
Il nostro tentativo di attualizzazione non deve sfiorare nessun riduzionismo, sebbene sia plausibile che con un primo sguardo non possano essere toccati tutti gli aspetti del documento dove si entra anche nel merito di analisi, di esempi e di soluzioni concrete raccolti dall’intero pianeta. L’audacia di papa Francesco mi spingerebbe oggi, comunque sia, a voler redigere un vero e proprio 'testo ecologico tarantino' in tutte le sue dimensioni: ecologia ambientale, economica e sociale; ecologia culturale; ecologia della vita quotidiana. Vi è un cammino lento e accurato di comprensione e di attuazione.
 
Dal canto mio sono rimasto particolarmente e bene impressionato per aver incontrato nelle citazioni molti riferimenti ai lavori delle diverse Conferenze episcopali, specie quelle delle zone più povere, dandomi prova del desiderio di papa Francesco di una sempre maggiore collegialità, attingendo a piene mani all’abbondante ricchezza della Chiesa sparsa in tutto il mondo. Mi sono lasciato suggestionare da alcuni passaggi che si inanellano l’un l’altro a partire da un primo punto chiave ispirato proprio al santo di Assisi, del quale il Papa porta il nome, introducendo il concetto cardine di ecologia integrale. «Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (n.10). Per il Papa i delitti contro l’ambiente sono alimentati spesso dai potenti che sono sordi agli inviti di coloro che lottano per la salvaguardia, ma non di meno sono complici del degrado coloro i quali vivono nel disinteresse, nell’indifferenza al problema: «Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri» (n. 14). 
 
Al contempo intuisco come in questo momento dalla storia del mondo e quindi anche della mia città, il terreno del dialogo, della conciliazione, dell’incontro, della testimonianza, dell’ecumene sia proprio la salvaguardia del creato. LS mi incoraggia, lì dove c’è stata anche incomprensione, talvolta conflitto o pregiudizio, ad offrire l’opportunità di un cammino comune. Che la questione ambiente sia per la Chiesa di Taranto l’areopago dell’evangelizzazione dei prossimi anni?
L’enciclica non lesina riflessioni neppure sull’urbanistica, sulla mancanza di spazi verdi, sulla cementificazione (si veda il cap. IV). Sarà anche interessante valutare a livello locale, con le dovute relativizzazioni, l’opportunità di riflettere se si è maturato verso Taranto quello che nell’enciclica viene chiamato «debito ecologico » (n. 51).
 
Anche noi purtroppo, annoveriamo danni umani e ambientali, la disoccupazione, l’impoverimento ambientale, il danneggiamento dell’agricoltura e dell’allevamento, il mare inquinato, come anche la non avvenuta ricaduta in opere sociali nonostante la presenza di colossi industriali. Come contraddire papa Francesco che afferma che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi (n. 56)? Occorre fare oggetto di meditazione e di approfondimento la grande lezione biblica e patristica che nell’enciclica è messa a fondamento delle motivazioni che portano i credenti ad essere custodi e non despoti del creato. Già nel convegno su Ambiente Salute e Lavoro del 7 novembre 2013 la Chiesa tarantina ha cominciato il suo percorso di prossimità proprio partendo dalla lezione sapienziale della Bibbia sul creato come anche sul lavoro, opera delle mani dell’uomo. 
 
Come pastore di una Chiesa in uscita mi sento incoraggiato da questa enciclica a spronare la comunità ecclesiale all’esercizio dell’amore e della corresponsabilità portando al centro il problema ambientale, della salute e del lavoro, che non può evidentemente essere posto fra le tante sfide pastorali, ma deve essere considerato prioritario. Così come bisogna formare in maniera lungimirante alla cultura ecologica e non solo fronteggiare l’emergenza: «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (n. 111). 
 
Accanto all’analisi così puntuale per la salvaguardia del creato, è provvidenza per noi che il Santo Padre abbia voluto parlare del lavoro. Anche per il lavoro il fondamento biblico, patristico, nonché l’accenno all’esperienza monastica sono di particolare interesse. Per noi che siamo oppressi, anche fisicamente, dai colossi industriali, credo faccia bene sentir parlare il Papa di diversificazione dell’economia locale come antidoto per il futuro: «Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale» (n. 129).
È ovvio che il documento ha una ricchezza e una profondità che non possono essere espresse esaustivamente in un semplice grappolo di appunti e di spunti, ma in conclusione non credo che non si possa accennare brevemente, riprendendo il concetto di ecologia integrale, all’ecologia, ambientale, economica, sociale e culturale. Mi incoraggia ancora una volta il Santo Padre a procedere come Chiesa di Taranto nell’incremento di una ecologia della cultura che per me richiama immediatamente al centro storico di Taranto, alla vecchia Isola, come anche alle nostre grandi periferie. «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso si appartenenza». 
 
Concludo pensando alle divisioni della mia città che è specchio di un intero Paese, riferendomi a quell’indispensabile discernimento sul bene comune. «Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società» (n. 208). 
 
*arcivescovo di Taranto presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace 
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